Mi ricordo che quando mi innamorai di Trizia, passando nella curva di via Cappuccinelle, per andare all’oratorio salesiano, tra un palazzetto, un basso murato e l’altro abitato dalla famiglia di Gaetano Arillo, c’era una pianta rampicante dal profumo intenso e ubriacante. Il profumo di quei fiori saliva alle narici, nel cervello e in picchiata scendeva nel cuore. Mi portava dritto a lei. E precipitando a quattro zampe, parlavamo il linguaggio delle fusa.