Ogni qual volta, specie dopo una passeggiata, una marcetta, persino di quelle blande, o una corsa nel bosco, gli inguini dirimpettai fanno bizze e dolorini e così e cosà e si atteggiano come fa l’attore principale sulla scena, ma la caratteristica principale degli inguini è quella di tacere. Sono spassosi quando tacciono. Hanno l’odore del sottobosco ma anche della sabbia in riva al mare. E se, con gran pazienza, te ne stai lì, senza bisbigliare o far baccano, li puoi ascoltare mentre parlano tra loro, alzandosi di continuo a colpi di reni come fossero tra i migliori portieri di calcio, ma anche di portierato condominiale, perché sbirciare oltre i nasi in fondo è la loro maniera per auscultare attraverso se stessi il dolore dell’umanità sulla faccia della terra e della terra stessa. Eh sì, gli inguini parlano con la terra e sono molto seri. Eppure, non si muovono mai di lì e certuni nell’accomunarli li chiama bilaterali. A volte succede che gli inguini, insieme, vanno sotto i ferri. E parlano come bambini con il muso sporco di cioccolata. Ecco, gli inguini per farsi sentire, devono andare sotto i ferri, altrimenti sono sconosciuti. E silenziosi.
Mese: marzo 2016
Mi ricordo
Mi ricordo quando il mondo boccheggia come il pesce, con la rete o con l’amo, tirato a forza dalle acque marine, di fiume o di lago. Qualcuno diceva di aver visto il pesce nel barile, qualcuno adombrava le strette sardine, mentre altri e altri ancora, come dice la modernità, semplicemente, nella vaschetta, tipica delle case, posta tra la cucina e il soggiorno. Don Pasquale Amalfitano, lui il pesce, lo ha visto dibattersi e muoversi con frenesia sulla banchina e poi, più drammaticamente, sulla sabbia come se presagisse d’essere impanato o imbiancato di farina. Il passo è breve dalla padella alla brace o alle fauci del gabbiano fuggitivo nelle discariche a cielo aperte delle città. La rete e il ricordo.