Era sera tardi, diciamo pure notte nera, e bellissima, perché si mischiava al blu sia delle stelle che del solito alone dei tuoi occhi. Sicché mentre mi accoltellavi perché non potevi fare altrimenti, mi regalasti la luna. E così parlavi e parlavi e insieme mi guardavate. Avevo anch’io qualcosa da dire. Volevo dirti che laggiù, oltre la collina, ancora più giù, sotto quattrocento scalini, in una fitta selva, c’era il mare lontano come le barche e i battelli all’orizzonte. Mi limitai a indicarti un punto e tu, che una sera prima avevi suonato il pianoforte nel soggiorno nella casa dei tuoi genitori, mi carezzasti incatenata di libertà. I tempo disegnò i suoi archi i venticelli accalorati e le colonne bianche rilucevano le labbra.