E’ in questa casa che è successo il fatto. Tutti, giornali, radio, opinione pubblica, testimoni indiretti e persino gli inquirenti, in un primo momento, hanno pensato che a uccidere l’uomo fosse stata la ragazza, quella trovata in quella casa, impietrita, muta e ancora tremante. Fu l’unica volta in cui la ragazza aveva oltrepassato la soglia di casa del suo spasimante. L’uomo, ottenuto lentamente la fiducia della ragazza, bella ma travagliata nel corpo, volle dimostrarle il suo amore, sapendo come sarebbe andata a finire. Lei lo rispettava ma non volle accettare le sue proposte d’amore. E l’uomo, per non offenderla, ferirla o ucciderla, mise in atto il suo piano. A rimetterci non sarebbe stata lei, ma lui e nessun altro. Quando nella casa accorse la polizia lo trovò in cucina, in una pozza di sangue. La scena appariva come una di quei telefilm che impazzano in Tv, ma stavolta non era una finzione filmica o teatrale, perché certe morti sono anche rappresentazione teatrali, in cui le luci e le voci e i silenzi attraggono gli spettatori, l’uomo aveva un coltello conficcato nel cuore. Anche quell’ultimo atto fu un segnale, coerente e da ultimo amore.
Era un giorno d’estate, penso Agosto e presi una corriera che uno dei passeggeri chiamò cafoniera, sulle prime non diedi peso alla cosa, ma era un stramaledetta avvisaglia di “pali negli occhi” , come diciamo dalle mie parti. che di lì…a poco avrei acchiappato, chiaramente senza volerlo assolutamente. L’attesa, quando si è innamorati l’attesa dura sempre il doppio… cinque minuti diventano, internamente, sofferenza e supplizio, dieci: dieci crescono a venti e venti quaranta e così via. Il sole batteva forte ma io resistevo ma di lei non si vedeva nemmeno l’ombra o, come desideravo il viso e le labbra e anche altro, perché aveva una mandola al posto del culo e Paola era famosa era quel pezzo anatomico che non solo i miei amici mi invidiavano ma anche i conoscenti del quartiere che sostavano fuori al Bar di Ciro il Pippone, chiamato così per il suo naso. E poi Paola camminava in un modo che era una specie di musica visiva e quando le dissi questa cosa lei candidamente rispose: – E’ la mia camminata, non lo faccio apposta.- Quel giorno avevamo appuntamento fuori casa sua, ma non sapevo dove fosse, non mi aveva dato l’indirizzo. E allora iniziai per scagionarla con un sacco di scuse e tutte le idee brutte che mi venivano le scartavo a spron battuto: in fondo gli innamorati sia tra loro che individualmente( colei o colui che ama di più) cercano sempre una pezza a colori per l’ennesimo salvataggio e allora mentono e si illudono come adolescenti incalliti o giovani e uomini presi al laccio. Quel giorno aspettai un’ora, ma non volevo saperne di abbandonare il mio amore. E poi ne passò un’altra e stavo quasi squagliandomi sotto quel sole maleducato che dardeggiava spietato come niente fosse. Beh, gli avrei voluto dire due parole al sole, per esempio se da ragazzo aveva preso una cotta, lui poi, o si fosse innamorato follemente da perdere la ragione e conoscere di persona la follia che alberga nei cuori innamorati. Ormai due ore erano passate da un pezzo e visto o sentito, anzi non sentito che il sole era un menefreghista, probabilmente conosceva qualcuno ancora più grande di lui che quando lo chiami fa orecchie da mercante e poiché in quel momento pensavo e credevo di stare nel deserto quando vidi la cafoniera per la contentezza tristissima che avevo salii di corsa e dissi agli altri passeggeri:- Vi amo.- Ma quelli senza rispondermi mi guardarono storto.