Il nero si staglia alle mie spalle. E pare non finire mai: ti porta dritto alla fine del mondo. La porta d’ingresso è nera. E nero è ciò che si vede oltre i vetri. Il tavolo, eccetto la parte bianca e tondeggiante, su cui giace immoto il piattino, consumo, alzando la tazzina bianca, il mio caffè, è nero. E neri sono i risvolti del collo e delle maniche del mio cappotto verde scuro. Le plafoniere, in alto, sopra la mia testa e forse nel cuore, corrono su due linee, una dietro l’altra e sono spente o paiono spente, perché né illuminano e né sviscerano il buio fitto che s’addensa un cielo senza squarci di speranza e futuro. Il mio incarnato è bianco latteo, i miei pensieri li vedo intirizziti come quando cala una gelata.
Affascinante e verosimile questa tua scrittura/lettura da dentro la tela
ml
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Massimo, grazie. Attraverso quadri e fotografie cerco di allontanarmi da me, poiché noi che scriviamo, tendiamo sempre all’autobiografia, penso che si un ottimo esercizio di scrittura cosiddetta creativa. E poi come la definisci tu dalla scrittura/lettura bisogna vedere oltre ma anche attenersi al tema del quadro o della fotografia postata. L’immagine del quadro ti tiene saldamente sui binari, mentre l’introspezione, interna ed esterna, ha licenza sia poetica ma anche brevità narrativa. Ciao.
Ah, quasi dimenticavo, poco fa tornando dalla palestra, ho mangiato riso con farro e ricotta con l’aggiunta di spinaci crudi tagliuzzati e una decina di mandorle, a mò di insalata. Il piatto di riso e farro lo aveva messo in frigo ieri sera, prevedendo la giornata calda, umida e afosa. Però, mentre mangiavo ho bevuto un bicchiere di vino bianco, freddo. A un certo punto ho brindato a te, Massimo il ciclista e i suoi succulenti manicaretti, e l’immancabile spruzzatina. Cin cin o prosit.
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cin cin 🙂
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