Il geco è profondamente, religiosamente, fedele, pur non essendo un credente, alla natura di sé. Il geco, sul silenzio delle pareti e delle mura antiche, ama e vuole amore, predisponendo il meglio. Il geco è di poche parole, specie quando irrompe sulle vestigia.
Mese: luglio 2017
Eterno Amore
Si che il mio cane vorrei portarlo con me, ma poi quando esco dal bosco e mi cambio la maglietta fuori dalla macchina, lui in macchina non ci vuole stare. Comunque è innamorato di me, infatti mi sta sempre alle calcagna. Secondo me nella mia vita di non so quale vita, ero un cane. E poi mi capita spesso, ma devo guardarmi in giro quando lo faccio, alzo la zampa sinistra(o gamba?)e faccio la pipì o spruzzatine sui muri, sulle ruote delle auto e dove mi va di farlo, insomma per marcare il territorio. Secondo me quando ero un cane ero un cane di strada, mi chiamavo Mario. Ero di colore nero e avevo delle macchie sul petto e in testa e dietro le orecchie. Oggi come ieri mi capita di sognare fette di carne, ossi e Lalli, una cagnetta tutto pepe, che quando la vedevo mi mandava in estasi, ma quei maledetti dei suoi padroni, dei veri sgherri, le vietavano di affacciarsi fuori al balcone e guardarmi. Oppure quando la portavano giù appena mi vedevano spuntare da ogni parte cambiavano strada. Però non ho mai smesso di sognarla e amarla. Possono impedirmi di annusarla e leccarle il musetto, ma non possono impedirmi di sognarla e amarla. E non possono nemmeno impedirmi trotterellare dopo che ho annusato dove è passata la mia Lalli. Leggi alla parole Eterno Amore, perché è uno di quelli.
La scrittura è piantare un albero in un campo da arare
La scrittura, l’atto in sé di scrivere, è un faro a cui guardare sempre, praticandolo giorno per giorno come fa l’artigiano, anche quando c’è buio,stanchezza o perdita dell’orientamento. Quando si ha un dubbio, un incertezza, una dimenticanza, la mano impugna la penna e scrive. C’è sempre un angolo dietro a un altro. Scrivere è ritrovarsi sia nei giardini curati o abbandonati o nella selva del sottobosco e anche della foresta. Più lontana è la foresta, più chi scrive intraprende, incessante, il dipanarsi di sentieri vecchi e nuovi. Scrivere è come dipingere: lì, risaltano i colori, le forme e le proporzioni; usando la penna si rincorrono le immagini che nascono come se fossero neonati che strillano, piangono e si fanno accarezzare e cullare o stupire o impaurire, nel bene e nel male,come occhi al risveglio di un giorno e dell’ ora qualunque.
Sulla graticola i venti fuggitivi
Quando sei sulla graticola, anche se non si vede il fuoco della brace, t’inerpichi in molte pose quasi a compensare le mancanze e le sottrazioni che giungono a iosa dall’alto e devi sfuggire giocoforza, la gravità in terra, la non volatilità del corpo, il cielo e i venti fuggitivi.
S’addensa la propria presenza in nuvole
Il dirupo, nel cuore e nell’anima ,si addensa, come a marcare la propria presenza. E la possanza, forse, di niente. Come le forme delle nuvole. Sempre lì a stare insieme , scorrazzando per i cieli mutevoli. E a cambiare le spalle e le facce sorridenti o cupe.
Corpo, casa e anima
Ogni corpo ha bisogno di una casa, fosse anche una caverna, un lurido umido sottoscala, o il marciapiedi di una strada o l’angolo fetido di un vicolo. E l’esule anima, del mondo.
Dopo
Dopo, guardando le loro facce inespressive ma fitte di ricordi, si misurava l’altezza e poi con la bilancia degli occhi e la pensosità dell’anima li si poteva pesare senza sforzo alcuno: tutti, erano di egual misura, e sul piattone del mercato, in presenza della forza di gravità, ne risultava la stessa quantità numerica. Forse era un sogno sul finire della notte. E la luce, dalle profondità oscure, effonde brulichio, cielo sconfinato di se stessa.
Le vite vicine troppo lontane
Le vite di rugiada rappresa.
Le vite di sogni sfrattati.
Le vite di manichini ciechi.
Le vite a forma di bicchieri.
Le vite sui bordi degli abissi.
Le vite che giocano ridendo.
Le vite perline di naftalina.
Le vite diramate dai numeri.
Le vite che non sono la tua.
Le vite stridenti di ovatta.
Le vite di amori già sangue.
Le vite sfarinate d’acqua.
Le vite ad archi inoperose.
Le vite vicine troppo lontane.
Tutto l’amore langue di desiderio
Che follia.
Tutto l’amore langue di desiderio oppresso.
Ha perso la testa, si dice dell’innamorato.
A Maria, accade la stessa cosa.
Che pazzia.
Chi è più degli innamorati è stato travolto
perché non ricambiato o meglio riamato?
Nessuno.
O forse Orlando o la sciagurata Partenope.
C’è chi soffre di più ed è colei e colui
che pur amando alla follia e a non riconoscersi
allo specchio, ancor più impazziscono.
Sono gli innamorati che in un momento
di lucidità afferrano l’amore muto e cieco.
Chi non ha partorito non può amare
e chi ha partorito non è detto
che ricambi l’amore.
E langue anche quando
il desiderio è al massimo, in un no,
pronunciato da quel muro
detto amore.
Pare sia venuto il momento di parlarsi
Pare sia venuto il momento di parlarsi. Faccia a faccia, apertamente. Domani, forse.