A vista d’occhio, quell’anno, la terra bruciava
Quell’anno, specie in agosto, fu rovente.
E terribile. Un ferro sulla carne viva. La pelle
Puzzava di dolore dolciastro. E, morivano.
A centinaia. A migliaia. Morivano.
Il fuoco s’appiccava di pazze macchie.
I campi arsi, secchi, bruciavano. I viottoli.
I paesi. Le città bruciavano, i quartieri vecchi
forni crematori, bruciavano. Gli animali,
anche quelli domestici, gli arnesi,
le suppellettili, gli uomini. Bruciavano.
E le stazioni di benzina scoppiavano
sotto e sopra il cielo, nero per il fumo.
E, bruciava la terra pavimentata.
Perché la terra quando è pavimentata
sparisce, diventa altra cosa, finché non
ritorna la natura con le sue caratteristiche
animalesche, con arte e parte di sé.
E bruciavano i piedi. Con le sue alte lingue,
bruciava l’orizzonte lontano. La sete e l’arsura
bruciavano bocca e gola. Bruciava l’acqua.
E a guardare vicino e poco più lontano, adesso
bruciava l’intera linea dell’orizzonte,
si districavano a fatica tra non visibilità
e incendio. E bruciavano, e ardevano esausti,
gli occhi, senza sguardo.