LA CITTÀ PERTURBANTE: CALVINO TRA I VICOLI DI NAPOLI

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FABIO CIARAMELLI

“Io credevo che a Napoli facesse caldo anche d’inverno. Invece il giorno che arrivammo noi arrivò anche il freddo, un vento marino che faceva battere i denti e gli stipiti degli usci. Io cercavo qualcosa che «facesse Napoli», non riuscivo a capire che colore avesse questa città, che ritmo: mi fermavo a calze rammendate appese fuori dalle case, a lenzuola in aria, ‘questo fa Napoli’, ripetevo ogni volta, ma il cielo grigio, il freddo mi perdevano, e non potevo togliermi Genova dal capo.

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LA CITTÀ PERTURBANTE: CALVINO TRA I VICOLI DI NAPOLI

Al bambino appena nato, che teneva già il bubbone tipo Kafka col padre …

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Al bambino appena nato, che teneva già il bubbone tipo Kafka col padre, mentre sua mamma, il papà, le sorelle in attesa di mariti operai e i fratelli solachianelli, pittori di stanze e baristi ridevano e piangevano dalla contentezza, la Voce fuori campo o dentro il nascituro disse: “Ricordati che non solo devi morire ma innanzitutto dovrai da questo momento in poi soffrire con molto sbattimento.” Il bambino fece una faccia brutta e schifata e disse: ” Eh si, che bella iurnata è sfaccimma è schiarata. E che benvenuto me viene ‘a ddà: mammone, jesce for”a ccà dinto.”

Al bambino appena nato, che teneva già il bubbone tipo Kafka col padre …

Quando due cuori imbarcano acqua cantano. E non c’è rimedio nell’oasi del deserto. E’ un canto corale come di solchi. E dialoghi con la luna.

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Straripamento affolla e i nostri

piedi di squlibrio sprofandano.

E le trombe a canzoni ci accompagnano.

Come una consolazione dall’interno.

Meglio di così solo a gurdare le stelle

che solidali, sul cuore leggero,

adagiano l’impossibilità delle labbra.

Quando due cuori imbarcano acqua cantano. E non c’è rimedio nell’oasi del deserto. E’ un canto corale come di solchi. E dialoghi con la luna.

Quando (con la fantasia), in compagnia di mamma, incontrai mio padre Angelo o colui che si faceva passare per tale, il signor Franz Kafka e la sua fidanzata signorina Milena nell’ospedale per la cura delle malattie ai polmoni sopra la collina dei Camaldoli dove soffiava forte il vento e il freddo ti entrava nelle ossa.

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Quella volta che andai con mamma a trovare quel signore, era la prima ma fu anche

l’ultima, che lei diceva essere mio padre, nell’ospedale sopra la collina dei Camaldoli,

quando il medico di guardia gli diedero il permesso di scendere tra i corridoi del

nosocomio e il cortile alberato, e dicevano, dall’aria buona perché salubre anche se in

inverno poteva fioccare la neve, ci ritrovammo giù nel sotterraneo dove gli addetti tra

sbuffi e aria calda, controllavano i tubi della caldaie, fu laggiù che incontrammo un

signore magro nel fisico e nella faccia ossuta e gli occhi per quanto riottosi sembrava

guardarti dentro.

-Buonasera Franz.- disse colui che si spacciava per mio mio padre tra l’altro secco come una mazza.

-Buonasera anche a te.- disse l’altro che parve sorridere impercettibilmente come un sismografo.

– Bunasera signora.:- disse mio padre che mi guardò mettendomi un braccio e la mano sulla spalla.

-Lui è l’ultimo dei miei figli, il più piccolo.Lei è Francesca mia moglie.- e si mise la mano nel fianco.

-Piacere signora. Lei è Milena.- disse ansando il signor Frank che pareva avere il ghiaccio nelle tasche.

E me strinse la mano che umidiccia forse tremò disse: – Papà Angelo è bravo è presto guarirà.-

Mamma mi guardò prima di salutare scambiandosi un abbraccio e baci sulle guance con la signorina Milena mentre diede la mano al signor Franz. Mio padre salutò entrambi e disse: -A dopo.-

-Grazie.- dissi e andammo nel grande giardino in cui mi padre o chi per lui era in posa per una foto.

E mamma ogni tanto la prendeva dallo scatolo dentro l’armadio. E ce la mostrava senza fiatare..

Quando (con la fantasia), in compagnia di mamma, incontrai mio padre Angelo o colui che si faceva passare per tale, il signor Franz Kafka e la sua fidanzata signorina Milena nell’ospedale per la cura delle malattie ai polmoni sopra la collina dei Camaldoli dove soffiava forte il vento e il freddo ti entrava nelle ossa.

Tu potevi essere uno fra loro, dico le masse o se ti va di dire moltitudini o comunque arrivarci con il pensiero e la fantasia e vedere e toccare realmente l’isolamento in cui versavano queste vaste popolazioni, certamente integrate verso il basso delle cose più ultime degli ultimi, che paradossalmente, essendo molte ma molte di più, sono ai lati dei lati verso l’esterno d’inferno divenuto centro come a voler svuotare il mare con un secchiello e, peggio, credersi secchiello, vomitando e sputando cieche,vili offese.

Quadri di Lotte Laserstein

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Tu potevi essere uno fra loro, dico le masse o se ti va di dire moltitudini o comunque arrivarci con il pensiero e la fantasia e vedere e toccare realmente l’isolamento in cui versavano queste vaste popolazioni, certamente integrate verso il basso delle cose più ultime degli ultimi, che paradossalmente, essendo molte ma molte di più, sono ai lati dei lati verso l’esterno d’inferno divenuto centro come a voler svuotare il mare con un secchiello e, peggio, credersi secchiello, vomitando e sputando cieche,vili offese.

Victor Hugo, i miserabili, i vicoli, le vecchie, ‘e preghiere e Genny Faccia Gialluta.

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… Un giorno Tholomyès prese da parte gli altri tre, e con  tono da oracolo disse loro:”Quasi da un anno Fantine, Dahlia, Zéphine e Favourite ci chiedono di preparar loro una sorpresa;gliel’abbiamo solennemente promessa;ce ne parlano continuamente, a me soprattutto. Come a Napoli le vecchie gridano a San Gennaro: Faccia gialluta, fa ‘o miracolo;cosi le nostre belle mi dicono sempre: Tholomyès quando partorirai la sorpresa?

Victor Hugo, I miserabili (pag. 126).

Victor Hugo, i miserabili, i vicoli, le vecchie, ‘e preghiere e Genny Faccia Gialluta.