Mi piace un sacco quando vieni tutta trafelata. E vado pazzo persino per la parola trafelata con cui non ho mai avuto niente a che fare. Poi, complici e stupiti, ci sorridiamo. Ecco tutto. Almeno così pare.

Maddalena-bambina

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Mi piace un sacco quando vieni tutta trafelata. E vado pazzo persino per la parola trafelata con cui non ho mai avuto niente a che fare. Poi, complici e stupiti, ci sorridiamo. Ecco tutto. Almeno così pare.

Pot-pourri ‹pó purì› di quadri e il dispiacere per Arianna. L’ho vista, ora fa la panettiera. Lei, però, carnagione olivastra e capelli neri, mi ha detto:” Aspiro ad altro”. E mentre andavo via ha aggiunto: “Spero di non essere rimasta incinta”.

Quadro di Cesare Visazzi Le sirene

Cesare Viazzi Le Sirene_10

Quadro di Rodolfo Morgari Arianna abbandonata

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Quadro di Romina Bassu Speleologa

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Pot-pourri ‹pó purì› di quadri e il dispiacere per Arianna. L’ho vista, ora fa la panettiera. Lei, però, carnagione olivastra e capelli neri, mi ha detto:” Aspiro ad altro”. E mentre andavo via ha aggiunto: “Spero di non essere rimasta incinta”.

Un romanzo è come una casa vuota: c’è chi tenta di riempirla, chi sta alla finestra e chi aspetta domani e ancora domani. O aspetta il panariello che scenda dal cielo. O una passeggiata sull’abisso.

Naples Seguici diventa nostra fan ed entrerai nel mondo fantastico della foto  print photo foto fotografia cartoline PhotographyCalzolaioLa Napoli di Bellavista: in mostra le foto di Luciano De Crescenzo - Il Mattino.it

… I miei due anni veri furono invece il ’49 e il ’50 quando presi a scrivere questo romanzo. Non solo: ma così ora per ora, scrivendo mi divennero veri anche gli altri. Li recuperai. E’ la parola. E io, ripeto, non chiedo di più. Niente al mondo è più bello che scrivere. Anche male. Anche in modo da far ridere la gente. L’unica cosa che so è forse questa.

Già che ci sono, piuttosto, vorrei augurare a ogni uomo  dopo aver fatto tutti i mestieri del mondo, di arrivare un giorno a scrivere un grosso romanzo(bello o brutto poca importa: affare suo:semplicemente questione di stella):di impiegarci due anni  e anche tre o magari anche un pezzo di vita. Ma lo dico sul serio:non ho la minima idea di scherzare. Tutti gli uomini fra i trenta e i quaranta non farebbero male a fermarsi un momento: poi guardarsi e guardare anche gli altri e scrivere un grosso romanzo col più gran numero di personaggi possibili. Ne varrebbe la pena. Moltissime cose, suppongo, e magari anche soldi e l’amore e il desiderio di vincere e il gelo della delusione, non dovrebbero poi avere più una così ossessiva importanza. Forse tutto questo è chiarissimo e neanche c’era bisogno di dirlo: o forse anche no. Mi dispiace. Quel che importa ad ogni modo è che anche adesso non ho la minima idea di scherzare o anche peggio di fare lo strano. Strane, in fondo, da fare quasi paura, sono solo le cose assolutamente normali.

Silvio D’Arzò Csa d’altri e altri racconti, (pagg.58,59).

 

Un romanzo è come una casa vuota: c’è chi tenta di riempirla, chi sta alla finestra e chi aspetta domani e ancora domani. O aspetta il panariello che scenda dal cielo. O una passeggiata sull’abisso.

Ci sono fotografie istantanee che mettono distanze. E tu lo sai, si che lo sai. Pare che ti faccia piacere, forse sei complice. E non basta a cambiare la direzione del vento. E ne profitti quando cade la pioggia, ridi. E anche nei giorni scuri col canto del gallo. Ti prende la voglia di entrarci dentro e rifare il mondo nel suo giorno della malora.

Quadro diVihelm Hammershoi

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Ci sono fotografie istantanee che mettono distanze. E tu lo sai, si che lo sai. Pare che ti faccia piacere, forse sei complice. E non basta a cambiare la direzione del vento. E ne profitti quando cade la pioggia, ridi. E anche nei giorni scuri col canto del gallo. Ti prende la voglia di entrarci dentro e rifare il mondo nel suo giorno della malora.

Tutto era avvolto nella nebbia, almeno così pareva nell’animo sentimentale e vigile di Renato de Notaris. Così come le promesse mai fatte eppure augurate dalla speranza e dal desiderio. Il tempo volgeva al bello e, casualmente, Anita Belsa e Renato si incontrarono a metà strada dalle loro abitazioni sopra una salitella. Se il loro amore fosse andato avanti, per incontarsi, Renato avrebbe inboccato la disceva e Anita la salita, almeno fino a quando non avessero preso casa per sposarsi e viverci. “Come stai?”, esclamarono entrambi non appena si palesarono ai propri occhi. “Bene”, risposero levitando in sorrisi di sorpresa. Erano passati degli anni ed era tutto nel limbo dei ricordi, ma ancora vivi e capaci di conoscersi. Ma bastava un prufumo di fiori, una carezza, la mano nella manno, un bacio e lo scrigno delle emozioni vergini e tutto sarebbe sarebbe stato come allora un treno all’infinito. Accadde, però, che non si erano mai più incontrati, nè avevano avuto possibilità di parlarsi giusto per metterci una pietra sopra o finalmente fidanzarsi o vivere insieme o almeno scendere in profondità e constatare i punti più alti e più bassi del reciproco volersi. “Potresti venire nella Sala del Regno di Dio”, disse Anita.”Allora mi innamorai di te e tuo padre non volle, disse che eri ancora troppo piccola”. “Ma avevo appena quattordici anni e tu tre più di me”. “Sicuro, ma io e credo anche tu, ci innamorammo. E andammo insime a Giovanna e Pietro con la cinquecento sull’isolotto di San Martino. E qualche giorno prima mi dicesti di aprire l’antologia e dentro ci mettesti un fiore. E poi mi hai preso per mano. E poi vicino al mare ti sei stretta a me e in macchina ti baciai sul collo e ne fosti felice. Ci volevamo e credo anche che non eravamo i primi e gli ultimi in una situazione del genere”. ” Forse non ci abbimao creduto abbastanza”. disse lei. “Io, invece, ci credevo eccome. E tu poi non mi hai dimostrato nulla. Eri attaccato al verbo di tuo padre che disse a mia madre che era una cosa che non si poteva fare. E in quell’estate, mentre morivo, te andasti in vacanza per una settmana prima a Pozzuoli(salii sulla metro e venni a ceracrti) e poi per due mesi a Ischia, mentre il cuore mi scoppiava. Volevo morire e pensai anche di fare un patto con la morte, ma lei voleva tutto, mentre io desideravo e sognavo soltanto te. Forse non lo sai e non l’hai mai saputo: per te ho pianto, ma mi trovai davanti un muro. Certo, innamorandomi, ero ancora più bambino. Ma era un’amore puro, uno di quelli che scioccamente chiami amore grande. E si mettevano pure quelle canzoni che mi portvano sempre a te, a noi, a me, quel me così innamorato e disperato. Da un lato morire e dall’latro la follia. E poi senza saperlo conobbi anche tuo fratello Gennarino a cui però non dissi nulla di noi due. Chissà forse lui avrebbe potuto aiutarmi o addirittura dirmi: ” Scappate a Roma e poi telefonate a casa. Mettete i nostri gienitori davanti al fatto compiuto”. “Sappi, anche se avevo sedici anni tu per me da un certo giorno in poi eri la luce, il mio grande amore, anche se non avevamo mai fatto l’amore. Di quello non mi preoccupavo: sarebbe venuto eccome e desiderato da tutti e due”. “Possiamo ritornare insieme e finalmente amarci, però verrai con me e andremo nella Sala del Regno di Dio”. “Allora come oggi non mi interessa né Dio né la religione che professi insieme a tuo padre e tua madre, ma soltanto tu”. E non sapremo mai se prima di salutarsi, si guardarono molto o per poco, ma da quel momento non s’incontrarono più. E nè casualmente chiesero delle proprie anime. E non è detto che l’anima dell’amore muoia al momento di morire.

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Tutto era avvolto nella nebbia, almeno così pareva nell’animo sentimentale e vigile di Renato de Notaris. Così come le promesse mai fatte eppure augurate dalla speranza e dal desiderio. Il tempo volgeva al bello e, casualmente, Anita Belsa e Renato si incontrarono a metà strada dalle loro abitazioni sopra una salitella. Se il loro amore fosse andato avanti, per incontarsi, Renato avrebbe inboccato la disceva e Anita la salita, almeno fino a quando non avessero preso casa per sposarsi e viverci. “Come stai?”, esclamarono entrambi non appena si palesarono ai propri occhi. “Bene”, risposero levitando in sorrisi di sorpresa. Erano passati degli anni ed era tutto nel limbo dei ricordi, ma ancora vivi e capaci di conoscersi. Ma bastava un prufumo di fiori, una carezza, la mano nella manno, un bacio e lo scrigno delle emozioni vergini e tutto sarebbe sarebbe stato come allora un treno all’infinito. Accadde, però, che non si erano mai più incontrati, nè avevano avuto possibilità di parlarsi giusto per metterci una pietra sopra o finalmente fidanzarsi o vivere insieme o almeno scendere in profondità e constatare i punti più alti e più bassi del reciproco volersi. “Potresti venire nella Sala del Regno di Dio”, disse Anita.”Allora mi innamorai di te e tuo padre non volle, disse che eri ancora troppo piccola”. “Ma avevo appena quattordici anni e tu tre più di me”. “Sicuro, ma io e credo anche tu, ci innamorammo. E andammo insime a Giovanna e Pietro con la cinquecento sull’isolotto di San Martino. E qualche giorno prima mi dicesti di aprire l’antologia e dentro ci mettesti un fiore. E poi mi hai preso per mano. E poi vicino al mare ti sei stretta a me e in macchina ti baciai sul collo e ne fosti felice. Ci volevamo e credo anche che non eravamo i primi e gli ultimi in una situazione del genere”. ” Forse non ci abbimao creduto abbastanza”. disse lei. “Io, invece, ci credevo eccome. E tu poi non mi hai dimostrato nulla. Eri attaccato al verbo di tuo padre che disse a mia madre che era una cosa che non si poteva fare. E in quell’estate, mentre morivo, te andasti in vacanza per una settmana prima a Pozzuoli(salii sulla metro e venni a ceracrti) e poi per due mesi a Ischia, mentre il cuore mi scoppiava. Volevo morire e pensai anche di fare un patto con la morte, ma lei voleva tutto, mentre io desideravo e sognavo soltanto te. Forse non lo sai e non l’hai mai saputo: per te ho pianto, ma mi trovai davanti un muro. Certo, innamorandomi, ero ancora più bambino. Ma era un’amore puro, uno di quelli che scioccamente chiami amore grande. E si mettevano pure quelle canzoni che mi portvano sempre a te, a noi, a me, quel me così innamorato e disperato. Da un lato morire e dall’latro la follia. E poi senza saperlo conobbi anche tuo fratello Gennarino a cui però non dissi nulla di noi due. Chissà forse lui avrebbe potuto aiutarmi o addirittura dirmi: ” Scappate a Roma e poi telefonate a casa. Mettete i nostri gienitori davanti al fatto compiuto”. “Sappi, anche se avevo sedici anni tu per me da un certo giorno in poi eri la luce, il mio grande amore, anche se non avevamo mai fatto l’amore. Di quello non mi preoccupavo: sarebbe venuto eccome e desiderato da tutti e due”. “Possiamo ritornare insieme e finalmente amarci, però verrai con me e andremo nella Sala del Regno di Dio”. “Allora come oggi non mi interessa né Dio né la religione che professi insieme a tuo padre e tua madre, ma soltanto tu”. E non sapremo mai se prima di salutarsi, si guardarono molto o per poco, ma da quel momento non s’incontrarono più. E nè casualmente chiesero delle proprie anime. E non è detto che l’anima dell’amore muoia al momento di morire.

Si, confesso, le rosponsabilità non mi sono mai piaciute né andate a genio. Sono del tutto distruttive, penso. In assenza non si cresce, dicono. E ora tu me ne hai data una: Dimenticarti. Avevo ragione ieri e adesso ancora di più. Mi scorticherò vivo. E tu, maledetta, tu cosa farai? E non ti sentirai nemmeno in colpa. E vivrai. E, come tuo solito, amerai. E’ il tuo destino.

.@BeaSalvemini  Vincenzo Caprile - Veduta di Amalfi con barche di pescatoriPietro Scoppetta Amalfi (Sa) 1863 - Napoli 1920 - Veduta di Amalfi dal Convento dei CappucciniFranz Richard Unterberger Ville d'Amalfi

Si, confesso, le rosponsabilità non mi sono mai piaciute né andate a genio. Sono del tutto distruttive, penso. In assenza non si cresce, dicono. E ora tu me ne hai data una: Dimenticarti. Avevo ragione ieri e adesso ancora di più. Mi scorticherò vivo. E tu, maledetta, tu cosa farai? E non ti sentirai nemmeno in colpa. E vivrai. E, come tuo solito, amerai. E’ il tuo destino.

Hai insistito tanto, non volevo, però dai, in fondo anche si. Prima o poi avresti visto mentre io e Carla stretti come patelle allo scoglio ci baciavamo. L’amore inizia col vizio di uno sguardo, un bacio, un’onda. E a ridosso la risacca rumorosa delle stelle. E poi nell’universo come di prassi avviene una metamorfosi.

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Hai insistito tanto, non volevo, però dai, in fondo anche si. Prima o poi avresti visto mentre io e Carla stretti come patelle allo scoglio ci baciavamo. L’amore inizia col vizio di uno sguardo, un bacio, un’onda. E a ridosso la risacca rumorosa delle stelle. E poi nell’universo come di prassi avviene una metamorfosi.

A pensarci così su due piedi la vita ha i suoi lati oscuri come d’altronde i nostri recessi. Così, senza guardare nemmeno l’orizzonte e, di sera, spesso tentavo di scrivere poesie, però senza intrattenermi con la prosa. E che l’oralità fosse mistura.

/Paul_Baudry 1858 "Charlotte  CordayL'Assassinio di Marat 1860As the French Revolution unfolded between the years 1789 and 1794, a lot changed in France. Along with political upheaval, the Catholic c...La Morte di Marat, 1793–1793 Jacques-Louis David, Oldmasters museum (dal 1893)

 

A pensarci così su due piedi la vita ha i suoi lati oscuri come d’altronde i nostri recessi. Così, senza guardare nemmeno l’orizzonte e, di sera, spesso tentavo di scrivere poesie, però senza intrattenermi con la prosa. E che l’oralità fosse mistura.

Sia in cielo che nell’aere(oh, la licenza poetica) non ci sono confini. Ci sarebbe bisogno da farne anche lassù di muri. La sicurezza, converrete con me, è nel cementificazione degli spazi … celestiali. Certo, a gurdare le stelle, ica tanto poi, si cade nella melma. Tutto ciò ci darebbe maggiore iscurezza e blindatura. Però, incontri se ne possono fare anche in un velivolo. Allora eliminiamo gli aerei. E dopo? E il turismo? E l’economia? E il denaro viaggiante nei forzieri? Certo, vettore di una malattia può anche essere un vettore di grosso calibro. E sfiorarsi, parlarsi, darsi la mano, baciarsi. E ciao. Accidenti ai vettori dell’economia e dello status quo. E non interessa il prima delle cose, le condizioni che danno origini alle cose e il loro mutare o la staticità delle stelle … e le condizioni in cui … eccetera.

In cielo e nell’aria non ci sono confini, quindi ogni cosa in termini di polveri e appunto virus, e vettori trasporabili o che viaggiano in incognito o con la valigette li vedi a occhio crudo anche se siete affetti da miopia. Come arrivò la peste? Quale fu il vettore, la “carogna” che infesto varie nazioni europee? Era la mano di un Dio che a suo modo finalmente poteva vendicarsi dei recidivi peccaminosi umani, cattivissimi tra l’altro. E se non erro furono i topi, le pantegane, i ratti e le zoccole di fogna tali vettori.

… Fogne, cloache, discariche, autocombustione dei rifiuti … Così come fogne e cloache sono gli allevamenti di polli e suini … Perché nessun giornale scrive e nessun canale della tv nazionale informano i cittadini? Li non solo si annida la violenza dell’uomo sugli animali ma è da quei lazzaretti e campi nazisti che si sviluppano e mutano i virus …

I vettori salgono sulle navi perché lì c’è roba buona e succulenta da sgranocchiare. E dopo l’abbuffata, per sgranchirsi le zampette, la famgliola scende per una passeggita in altre fogne e a quel punto il capofamiglia e la zoccola dicono: Be’, anche qui c’è miseria e fame, per noi va bene, con i cumuli di munnezza troveremo sempre di che abbuffarci.

Hanno paura di noi, ma noi alligniamo dove ci sono le condizioni. Cosa ci faremmo mai in un luogo ben tenuto e pulito? Ci triverebbero tutti stecchiti a noi popolo delle fogne. Facciamo ribrezzo? Dai, che sarà mai? Ci si abitua a tutto.In fisica a una reazione ne corrisponde un’altra di segno opposto. In date condizioni escono fuori polveri, vettori e topi di fogna da un lato ben pasciuti e dall’altro pronti a dare addosso … a quel disgraziato dell’untore. Certo, se quella zoccola … e chillu strunz ‘e ll’omm suio se fosse cumportato a ommo e l’avesse pigliata p”e capille e fatt”o strascino e se fosse pigliata chella sfaccimma ‘e mela d’o Malacarne, mò, a chest’ora, stevemo tutte quante na bellezza, na vera magnificenza.

Nun veco ll’ora ‘e trasì dint’a porta d’o paraviso. A proposito: na piccola curiosità, ma ‘a porta cu ‘ e culonne chi l’ha fravecata? Mica Pasquale, chillo ca sta dint’a quadrilogia de L’amica geniale? E si mparavsio fai ancora ‘o mestiere ca facive ncopp’a terra, secondo te è na cosa normale? Insomma, siamo alle solite: a chi figli e a chi figliastri. Però, mparaviso, avessemo essere tutt’euale, tutti uguali. Se un tizio giù faceva che sò il medico, il notaio o il professore all’iniversità e poi sopra esercità la stessa mansione e la classe sociale di giù, Padreterno, ma tu a chi vuo’ piglà pe’ culo?

Poi, se uno dice una due facciamo massimo tre bugie a Dio, Lui mica se ne accorge? Ma se lui se ne accorge già prima di essere preso in giro, al di là del Libero Aribitrio, perché, visto che l’essere umano lo ha tradito miliardi di volte e quandi è stato sterminato nel primo Testamento che sulla faccia della terra gaòlleggiava solo ‘a varchetella di Noè, pecché nun ‘o rompe ll’ossa seduta stante e doppo ‘o faje sta ncopp’a na seggia a rutella?

 

Sia in cielo che nell’aere(oh, la licenza poetica) non ci sono confini. Ci sarebbe bisogno da farne anche lassù di muri. La sicurezza, converrete con me, è nel cementificazione degli spazi … celestiali. Certo, a gurdare le stelle, ica tanto poi, si cade nella melma. Tutto ciò ci darebbe maggiore iscurezza e blindatura. Però, incontri se ne possono fare anche in un velivolo. Allora eliminiamo gli aerei. E dopo? E il turismo? E l’economia? E il denaro viaggiante nei forzieri? Certo, vettore di una malattia può anche essere un vettore di grosso calibro. E sfiorarsi, parlarsi, darsi la mano, baciarsi. E ciao. Accidenti ai vettori dell’economia e dello status quo. E non interessa il prima delle cose, le condizioni che danno origini alle cose e il loro mutare o la staticità delle stelle … e le condizioni in cui … eccetera.