Da ieri e oggi rileggo dal libro Racconti La metamorfosi di Kafka nell’edizione Universale Economica Feltrinelli e, con mio stupore e curiosità, a inizio di pagina 103 leggo: |…|Dal quel giorno non tralasciò mai, mattina e sera, di socchiudere la porta e di dare un’occhiata a Gregorio. Le prime volte cercava d’attirarlo con richiami che dovevano sembrarle affettuosi come: “Fatti avanti, vecchio scarafone!” oppure:”Guarda il vecchio scarafone!” A tali inviti, Gregorio non rispondeva, ma restava, immobile, come se nessuno fosse entrato. |…| Cosa mi ha colpito e incuriosito? Sono napoletano e di questi tizi dalla corazza nera con zampette e antenne ne ho visti tanti (e mangiato anche uno, ma senza beccarmi la zoonosi, quando si dice la voglia di vivere) sgambettare nei vicoli rasente i muri o nelle vicinanze delle fogne o nelle case fatiscenti, negli scantinati e nei palazzi sgarrupati dove da bambino andavo a giocare ma praticamente a rischiare la vita a cercare fantasmi, sreghe e un ipotetico It, ma questa è un’altra storia che semmai scriverò da qualche altra parte. La parola che mi ha assai incuriosito è: scarafone. Tra l’altro c’è anche una canzone di Pino Daniele che si chiama proprio accussì,’O scarrafone. E noi a Napoli da sempre, scherzosamente, parlando di bambini nu poco scurfanielli, usiamo dire:”Ogni scarrafone è bello a mamma soja”. Noi adoperiamo quel termine con due erre, mentre nel libro è riportato con una sola r. In italiano non viene usato il termine scarafone, ma scarafaggio. Così vado a leggere chi è il traduttore del libro dal tedesco e trovo scritto, Giorgio Zampa. Forse c’è un legame tra il traduttore dello scarafone kafkiano del libro e ‘o scarrafone d’e mamme napulitane e di Pino Daniele? Come dice il poeta lo scopriremo solo vivendo con visionarietà la (nostra singolare multipla) esistenza.