Mese: agosto 2020
Quel che apparve a squarciare il cielo in tutta la sua nudità era soltanto un raggio di sole.
Joaquin Sorolla
Prima o poi, ciò che è e quello che non è, brulica nel sangue delle pietre
Albert Marquet
Scritti trovati dietro le pagine bianche nel leggere Tutti i racconti di Flannery O’ Connor.
Ho capito – disse Guglielmo Maliban -, che in questo mondo(dell’altro e di altro non vi è nessuna prova e tangibilità come dell’esistenza inutile, capricciosa e pacchiana di Dio) che bisogna dfendersi, non fosse altro per un accanimento manifesto e perdurante degli attaccanti così atticciati alle loro cose. Allora, per non sottostare alla mercè ed essere scorticato vivo, un certo tipo di parole come fossero pareti inattaccabili, mi vengono in soccorso ad aiutarmi, per cui, leggo … e avviene una sorta di miracolo non miracolo ma tangibile, almeno.
Leggere è un modo per difendersi sia dal buio che dalla luce eccessiva. E si legge anche per defendersi da se stessi. Sembra un paradosso, una piccola grande assurdità, ma in un certo senso è così. Leggere non è mai un atto definitivo anche nel preciso momento in cui ci si mette di fronte al libro: è un moto perpetuo stando seduti o sdraiati o via con il treno dell’immaginazione come essere trasportati, piccole o grandi, dal mantello perpetuo delle onde del mare. Questo perchè siamo a stretto contatto e in balia col fuoco che incenerisce e con la neve e il ghiaccio che copre e conserva ogni cosa, con l’acqua che ci travolge e di contro la siccità che prosciuga l’anima assetata e col vento che ci porta in ogni luogo e con l’mmobilità del caldo umido che ci inchioda alla terra.
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La sola, unica, salvezza di uno scrittore … ammesso che lo sia, ma ciò è secondario, consiste, banalmente, nel continuare a scrivere.
Così terminai di bere un bicchier d’acqua fresca dal rubinetto e mi coricai. Pioveva. Scartocciai una caramella al miele che consumai lentamente senza masticarla. E leggevo l’ultimo libro che mi aveva chiamato.
Se sei uno scrittore devi capire quali sono i moventi delle azioni umane nelle afasie dei personaggi.
“Non capisco un bel niente” dice uno delle figure tratteggiate col silenzio di labbra sottili.
E’ la vita, la vita che prorompe come scaglie lanciate nell’aria che non finisce di stupirci.
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Sovente gli indivisibili sono sempre o due pappagallini o i libri in volumi di due. Certo, possiamo anche annoverare una coppia umana che dal momento che si conobbero una volta poi non si sono più lasciati, perché il gorno in cui ognuno va in direzione opposta non sono più indivisibili. A occhio nudo e crudo le donne e gli uomini sono molto di più divisibili. Cosa più semplice o meno misteriosa e probabilmente soltanto banale. Anche se per ognuno nulla è banale persino quando tutto si ripete gioro per giorno. Eppure i libri, di qualunque tipo, sono pensati(o scopiazzati) e scritti dagli uomini stessi.
Forse i libri non hanno pathos e autonomia?
Insomma, un po’ come succede con il computer. E il computer … è si la grande memoria sistematizzata dell’homo sapiens ma più che altro proiezione delle facoltà dell’umanità come un contenitore sul pianeta terra.
Ma intanto essi, come i due volumi indivisibili e persino Il nome della rosa con allegato volumetto delle postille e Ulisse di Joyce corredato di note, non si separono mai, nonostante contengono porzioni di sapere umano e chiaramente anche le contraddizioni e i limiti dell’uomo.
I volumi degli indivisibili poi vanno sempre letti, a distnza di tempo, almeno due o tre volte. E lì non c’è critico o la polvere del tempo che possa dirti se valgono e quanto. Tu stesso sei l’uno e l’altro, pagina scritta e luce.
Sono Nico Setaro, ma dint”o vico, ‘a ggente, mi chiamano l’ommo cchiù simpatico ‘e mieza via. Accussì, me faccio via Toledo, piazza Plebiscito, Santa Lucia e via Caracciolo e mi consumo di fatica a Spaccanapoli. Dicono che ho perso ‘a capa pe Rosa. E’ overo. E dicono che so’ cuotto e che stongo sempe a penzà a lei. Si, po’ vulesse vedè a loro ‘o posto mio. E dicono che lei è troppo bella. Però, anche loro sono a sognare peggio di me, ma privi di empatia. Tengo ‘o sospetto che moreno d’invidia e gelusia. E se non smetto di vedere Gilda, hanno detto, sono fuori non del gruppo. Facciano pure. Mi tengo lei, finchè ‘a passione non mi lascia. Mò stò ccà, dinto ‘o suonno ca mi aiuta a campà. E a sorridere al cielo, anche se incatenato d’a malincunia pe Rosa.
Feli Vallotton