Mese: giugno 2022
La fortuna ma si può dire anche dell’incoscienza. Guagliò tu tiene ‘a capa fresca. ‘E chisti tiemp’, cu sti pandemie, scarsità di precipitazioni, guerre dentro e fuori, desertificazioni e speculazioni, è davvero una furtuna avere il cranio in cui circola frescura. La fortuna o l’oblio che truce persevera.
Marò, fa caver’ comme caspita fa caldo. La terra, la natura generatrice e regolatrice di vita e poi il ferro e il fuoco, la cenere e la polvere; ‘a vita.
Mi sono imbattuto, gironzolando tra vari blog, in uno scritto che alla fine riporta la condanna e l’esecuzione di morte di Giordano Bruno e di chi lo giudicò. PS: Ieri, tra l’altro che però esula da ciò riportato, pensavo a un post intitolato, Indovina indovinello. La natura, in quanto vita, la fede, la religione e, infine, ferro e fuoco, cenere e polvere. Uccidere per salvare il resto o il potere. E diceva: Se Dio, con la lettera maiuscola, sui generis e, non può essere altrimenti, nel senso che poteva essere più preciso, ci ha creati a sua immagine e somiglianza; mentre la donna, cioè Eva, è venuta fuori da una costola del maschio, cioè Adamo, poniamo che somigli a un popolo e a un uomo in particolare, intendendo la precisa precisione, in modo da fugare ogni imprecisione e confusione, a chi somiglierebbe? A un nero no, perchè non c’è mai stato, nella storia delle icone nè negli affreschi nelle volte delle parrocchie nè nei quadri commissionati nè nell’immaginario collettivo nè della Chiesa nè dalle fattezze di Gesù nè di suo Padre.
Marò, comm’ caspita fa caver’. Probabilmente sta cagnann’ ‘o munn e nuje, gli animali e gli insetti pure.
Forse stu calore è un viaggio senza ritorno. In questo cataclisma l’uomo ci sta coi piedi e con le mani.
Giordano Bruno. La sentenza dell’inquisizione.
Roma 8 febbraio 1600. Palazzo del Sant’Uffizio.
NOI chiamati dalla misericordia di Dio e invocato il nome di nostro Signore Gesù Cristo e della sua gloriosissima Madre sempre vergine Maria:
DICHIARIAMO
Te, frate Giordano Bruno eretico impenitente, pertinace ed ostinato e perciò incorso in tutte le censure ecclesiastiche per aver sostenuto l’esistenza di mondi innumerevoli ed eterni.
NOI condanniamo i tuoi libri come eretici ed erronei. Siano essi bruciati avanti le scale di san Pietro.
Tu, frate Giordano Bruno eretico ostinatissimo sarai spogliato nudo e con lingua inchiodata, legato ad un palo e arso vivo.
In ginocchio ascoltò Giordano Bruno il verdetto e a lettura finita si alzò in piedi e rivolto ai giudici inquisitori esclamò:
“Forse con maggiore timore pronunciate contro di me la sentenza di quanto ne provi io nel riceverla.”
All’alba del 17 febbraio del 1600 un mesto corteo composto dai seguaci di san Giovanni decollato conduce Giordano Bruno a Campo de’ Fiori, luogo dell’esecuzione, intonando canti liturgici.
Il condannato ha bocca e lingua immobili nel ferro della mordacchia perché non potesse esprimere neppure l’ultima parola, ordine del soave, dolce cardinale Roberto Bellarmino, gesuita e santo.
Tra essere e non essere questo siamo
Siamo sogno,
viaggiatori e viaggiatrici
di un tempo limitato,
miti altrui e di noi stessi,
fantasia e realtà.
Che piacere bere alla fontanella
Vedete, sopra il secondo arco, oltre le foglie rampicanti e i vasi dei fiori, spunta San Martino, immerso in uno spicchio di cielo azzurro: chisto è ‘o mare ca sta ‘ncielo, e ‘nu tuffo cu ll’uochie non può levartelo nisciuno. E’ nu regalo d’o sole: ‘nu tesoro naturale.
Adesso però, veniamo a noi, ma che dico, veniamo a st’angelo vestito cu na cammisa janca e ‘a gonna araosta seduto fore ‘o giardino: tene ‘a grazia ‘e n’auciello d’o paraviso. Quanta è bella sta femmena c’o pietto scummigliato: nu sciore, na rosa ‘mmaculata.
La porta d’o telaro è mezza parte, comme si aspettano nun tenesse paura ‘e niente e ‘na voce l’avessa chiammà pe’ le dicere: Rusinè, vine ccà, e puorteme ‘nu bicchiere d’acqua fresco ‘e sott’a funtana.
Cammenanno dopp’o sicondo arco, ne vene n’ato e doppo ‘o terzo vene ‘o quarto ca sponta dint’a ‘a piazza d’a riviera, proprio ‘n facci’o mare. Che bellezza. Tiene ‘a voglia di bere alla fontanella di marmo nel colonnato della sirena.
Rusinella vestuta accussì è ‘nu quadro, dint’ o vico sulagno, tra ‘o grigio d’e vasule, ‘o paglino d’e mura d’e palazze, ‘o verde d’e fronne e ‘a luce ca scenn d’o cielo cu ‘o criaturo cu astrignute ncopp’o core, doppo ca ha zucato d’o pietto chin’e latte, calore e ammore.
L’uccello io
Mi chiamo Pablo, l’uccello,
l’uccello di una sola piuma,
il volatore d’ombra chiara
e di chiarezza confusa,
le ali non mi vedono,
le mie orecchie risuonano
quando passo tra gli alberi
o sotto le tombe
così come uno sfortunato ombrello
o come una spada sguainata,
teso come un arco
o rotondo come un’uva,
volo e volo senza saperlo,
girato nella notte buia,
chi viene ad aspettarmi,
chi non vuole il mio cantare,
chi mi vuole morto,
chi non sa che sono arrivato
e non verrà a battere,
a sanguinare, torcere
o baciare il mio vestito rotto
dal fischio del vento.
Così vengo e me ne vado,
volo e non volo, ma canto:
sono l’uccello furioso
della tempesta tranquilla.

Pablo Neruda Arte degli uccelli
PASSIGLI Pagine 191, euro 18
Pelle l’anima tua
Scrivere è la pelle che ti scortichi.
Scrivere è la lava della tua anima.
Scrivere è lei che disse:- Chi sono?-
Scrivere è quando rimani lontano.
Scrivere è ascoltare le voci del mare.
Scrivere è il ricordo fresco di oggi.
Scrivere è il giorno di ieri e domani.
Scrivere è respirare l’aria del cuore.



Lì in fondo, ma prima in alto, i lepidotteri
Ho visto farfalle
dal cuore rosso
sanguinavano
per fortuna volavano;
i colori sbiadivano
nell’aria tersa,
copioso l’azzurro
il mare in cielo.
Innamorarsi di un’aliena è molto difficile, pure complicato con tutti quei meccanismi, le rotelle e le pulegge per non dire dei piani inclinati di albe. Eppure quella volta, senza metterci intenzione, ci cascai tutto intero, anche se la grandezza di un istante lunare rimase sospettoso. Poi, anche lui, cedette sulle note di quella canzone evocativa, forse banale, ma orecchiabile e di successo.
Domani, per voi, purtroppo, sarà ma non per colpa vostra, un giorno tristissimo, anzi, tragico. Sottotitolo: Tutti i suoni, le musiche, le canzoni ‘o ventariell’ in un’ora, una sera e una notte stellata. Ma dai, sono solo sette giorno di mare bellissimo.
Domani per voi sarà un giorno tristissimo, anzi, tragico: partirò; c’è sempre un domani in cui si parte. Ma dai cosa dici mai, tu vorresti legare le nostre vite alla tua? Marò, che importanza mi do. Su, sveglia!
Penso, probabilmente, che non riuscirete a resistere e piangere a tanto di lacrime, tipo secchiate. Certo, non lacrime napoletane perchè voi state dove siete e io sono qui, ovvio. Insomma, come avevo scritto qualche giorno fa. E partire, sapete, è anche soffrire, infatti si dice “Chi parte, sa da che cosa fugge, ma non sa che cosa cerca.“
Mi direte, ma emigri? No, no ci mancherebbe. Anche Massimo Troisi, pur essendo napoletano, diceva che lui partiva ma non era emigrante. Lui partiva pe s’ sfizià, pe cunoscere ata gente e pe na bella vacanza e anche pe na nova sceriata. Però, sempre che non mi accadrà nulla tra disastri ambientali, bombe d’acqua, alluvioni, fiumi in secca, esondazioni di pozzanghere, tsunami, terremoti e pazzoidi che vanno in giro a sparare, meno male che non siamo negli States e con le guerre che sbucano da tutte le parti … e se, casomai, non bombardano l’aereo, non ci saranno eventuali dirottatori e non mi pigliano pe nu migrante tutto scuro di onde, sale, sole e traversata nei cieli di Lampedusa sarò overo n’essere umano affurtunato.
E forse al ritorno farò un resoconto. Comunque a domani poi le impressioni prima del viaggio. 😊😁😜