Silvestro Lega
Sono nell’entrata dell’albergo, dietro il banco dove sono appese le chiavi delle stanze. La figlia del proprietario di cui non conosco il nome tutti i giorni esclusi sabato e domenica mi passa davanti. E’ diretta all’ultimo piano, lì sopra c’è un panorama bellissimo: si vede il mare che brillà come fosse esausto lui stesso di tanta pace, bellezza e solitudine. In mano ha dei libri, studia all’univesità. Prepara qualche esame. In questo momento sono solo e non ci sono altri clienti. Ho saputo da suo padre che lei si chiama Daniela. La vedo spuntare sulla soglia nell’ingresso tra la luce sepeggiante del sole in tra due sfumature di colore azzurro: quello del cielo e quello del mare.
Lei tra le ombre e i trascinanti fasci di luce dalll’ingresso e quasi con la testa abbassata tra i capelli lunghi con gli occhi quasi a fessura dice:
<<Buon giorno>>.
<<Buon giorno>>, le sisponde.
Improvvisamente il desiderio e una forza interna sottopelle mi lanciano fuori dal bancone, mentre lei è salita di un gradino. Le prendo la mano e sorridendo accenno qualche parola, lei mi gurda con un piede su un gradini e l’altro più in basso e quasi annoiata dice:
<<Lasciami>>.
E’ la prima volta che ci parliamo. Nella sua scontrosità e timidezza mi ha dato del tu. Rimango fermo ma abbagliato. Penso di raggiungerla, poi entra una coppia di clienti. Ritorno subito dietro il bancone, col sorriso e da un allegro, sobrio:
<<Buongiorno>>.